Forse nei momenti di estrema tensione si è in grado di vedere l’essenza più profonda delle persone. Quantomeno questa è la sensazione che ho avuto quel giorno in Vallèe Blanche, appesa a una cresta sotto l’Aiguille du Midi a 3.777 metri di altezza, a scattare foto ai membri del team M4810 mentre raggiungevano faticosamente la vetta dopo una lunga cresta ghiacciata e ripida che aveva messo a dura prova tutti.
A un certo punto, nel mio obiettivo entra il viso di Valentina B.
Dietro gli occhiali scuri, quando alza gli occhi per guardare quanto manchi alla vetta, intravedo uno sguardo che quasi mi spaventa: pare partire una saetta di energia carica di sfida, tensione, forza, frenesia. Per un attimo ho come l’impressione che una valanga si sia staccata dal costone che ho davanti, e che invece di scendere a valle stia risalendo verso l’alto sotto forma di questa ragazza alta e snella. Poi si accorge che la sto fotografando, e il suo viso si apre in un sorriso stremato ma fiero.
Scoprirò poi il motivo di quello sguardo: dentro quel pozzo di energia in fase di esplosione che è Valentina in ogni istante di veglia, si stava consumando un momento di enorme stress. Quella cresta la stava mettendo a dura prova.
“Ero praticamente nel panico, credo che se non fossi stata agganciata ad altre persone in cordata sarei letteralmente rimasta lì. Non vedevo l’ora di arrivare in cima, era il mio unico pensiero, come se pensarlo più forte potesse farmi arrivare prima.
Io e le altezze non andiamo proprio d’accordissimo, me ne sono resa conto a Punta Lechaud…”.
Me lo ricordo bene! Eravamo in cordata insieme, io proprio dietro di lei, e in un punto abbastanza esposto, Vale si blocca. La vedo che si agita e mi accorgo che... non è legata alla corda di sicurezza! Il panico ha la meglio per qualche secondo, poi riesce a riprendere il controllo e a far scattare il moschettone che le assicura di restare appesa alla parete su cui siamo, ma dal pallore del suo viso avevo capito che fosse stato davvero un bello stress.
Certo, ha sempre superato ogni sfida. Però non ero certa che avrei visto il suo nome tra coloro che si sono candidati per la sfida della cima del Bianco. E invece, eccola lì: la prima donna, quantomeno per ordine alfabetico, della lista.
Non sei preoccupata, viste le sfide che abbiamo affrontato finora?
“Scherzi?! Certo, sono terrorizzata. Ma sai cosa? Ho capito che non potrei mai perdonarmelo se non ci provassi. È un’occasione unica, verso il mio lavoro, la società che mi ha accolta e me stessa. Quei treni che non passano due volte, di cui un giorno potrei parlare ai miei nipotini, nel bene o nel male. Come fai a non salirci, se non hai impedimenti oggettivi?”.
Certo, come ho potuto pensare diversamente? In fondo non puoi fermare una valanga, men che meno quando ha talmente forza di volontà da muoversi in salita.
In effetti, Valentina non può proprio tirarsi indietro, visto quanto ha voluto con forza e determinazione far parte del progetto, quando per motivi “temporali” avrebbe dovuto esserne esclusa. È entrata come stagista quando il progetto era già in corso e per ovvi motivi i tirocinanti non potevano partecipare a M4810. Quando poi è arrivato il contratto, non ha perso tempo: praticamente ha messo la partecipazione a questo progetto di Change Management ad alta quota tra le condizioni essenziali.
“Vabbè, non proprio dai. Però diciamo che non facevo segreto del mio pensiero. Da quando sono entrata in Methodos e ho saputo del progetto ho pensato che fosse straordinario, tanto come esperienza quanto come progetto aziendale, e che volevo a qualsiasi costo farne parte.
In realtà, non ci avevo pensato troppo bene all’epoca. Era talmente bello, innovativo, unico, che non mi sono fermata a pensare se ne fossi in grado o meno, né a quanto sarebbe stato difficile. Il mio entusiasmo era al massimo, tanto da andare a parlarne direttamente con Filippo, il CEO. Solo dopo averlo fatto, aver ricevuto l’ok a partecipare e aver fatto la mia prima uscita in Grigna, ho capito veramente in cosa mi stessi impegnando. Ma oggi penso la stessa cosa che in quel momento: non posso non provarci”.
Chissà cosa può portare a casa una personalità così esuberante ed esplosiva da una simile esperienza. Una che nella sua vita ha deciso nell’arco di due giorni di partire da sola per un progetto di volontariato in Sri Lanka, tanto per dire. Forse la calma della montagna, un po’ come succede a Sabrina?
O forse no, dato che si mette a ridere quando glielo chiedo…
“Calma? Io?! No, purtroppo no, anzi mi mette agitazione quindi mi tira fuori tutto quel carattere che mi ritrovo. Forse la cosa che mi ha stupito di più finora è stata... accorgermi che ci sono dei limiti.
Non fraintendermi, sono convinta della forza del mindset, forse fin troppo: in parte ho sempre pensato che chi non raggiungesse le proprie vette, alla fine non avesse poi una spinta motivazionale così intensa. Invece mi sono trovata a capire che non è così. Ci sono dei limiti, ed è giusto rispettarli, anzi la sfida è proprio capire quali sono quelli che ci mettiamo senza motivo, e che dovremmo sforzarci di superare, e quelli fisiologici, che sono semplicemente parte di come siamo fatti. Un po’ quello che sostiene spesso anche Alessio.
Rivedo in quest’ottica anche quello che mi è successo nello sport in passato. Non sono mai stata una montanara se non per sciare, la mia vita era il basket: ho iniziato a giocare in A2 a 14 anni e da lì, nella mia vita, non c’è stato più spazio per altro (se non per la scuola, ovviamente). Poi, rompo il crociato. Una volta, una seconda... poi la terza. Ero arrivata a un punto dove era più la sofferenza, che il piacere. Così capisco che evidentemente quella, non era la mia strada e decido quindi di fare un passo indietro e rinunciare a quel mondo. Ci ho messo un po’, prima di riuscire a riscoprirmi e, soprattutto, a reinventarmi.
È strano, la pallacanestro non c’entra niente con l’alpinismo: è uno sport veloce, dove un’azione dura 24 secondi e dove la soddisfazione è immediata, nessuna attesa infinta ed è totalmente uno sport di squadra. Si direbbe quasi tutto il contrario, quindi. La condizione particolare in cui mi sono trovata però, mi ha comunque insegnato, prima ancora che arrivasse la montagna, il valore dello sforzo nel lungo termine: recuperare per tre volte la rottura del crociato è una palestra di vita, a suo modo.
Di sicuro, quello che mi porto dietro lassù, quando ci dirigiamo verso una vetta, è il senso del team. Non importa cosa accada, quanto possa essere il mio desiderio della vetta: non posso lasciare indietro un compagno, o non aspettare gli altri.
Anche perché per me non sarà mai la conquista della cima, il punto. È l’esperienza in sé, la straordinaria, incredibile sfida multi-sfaccettata che stiamo vivendo: è quella la mia spinta più grande”.