Pensare è faticoso. Il nostro cervello è sottoposto costantemente a stimoli di varia natura, ai quali rispondere in maniera rapida e specifica. Se dovesse attingere a tutte le proprie risorse, in ogni momento della giornata, per reagire, sarebbe un dispendio di energie enorme.
E così non lo fa. Semplicemente, prende la via più breve: una scorciatoia di pensiero.
Ricorre a un’assunzione basata non su informazioni e analisi logiche, ma su idee preesistenti e preconcetti. Euristica, la chiamavano i greci, una parola che significa “trovare: trovare la soluzione, la più semplice. Che non è necessariamente la più efficace.
Non è in un’aula universitaria che abbiamo sentito parlare di questo termine ma negli uffici di Methodos, durante uno degli incontri di preparazione alla montagna a cura del CAI di Milano. Il titolo era “Sicurezza in montagna”. Sembrava promettente; tuttavia, il sottotitolo era: “il rischio zero non esiste”. E sono proprio le scorciatoie euristiche uno degli elementi da prendere in considerazione.
Sappiamo che il nostro percorso deve per forza passare anche per questa consapevolezza, lo abbiamo già scoperto. Sappiamo che è impossibile annullare il rischio in montagna, così come nella vita.
Non sarebbe nemmeno sensato farlo, in fondo. Dove sarebbe la sfida? Tiriamo fuori più forza proprio quando i nostri sensi sono in allerta, il battito cardiaco aumenta, l’adrenalina entra in circolo. È quella sensazione che finisce per creare una sorta di dipendenza negli amanti degli sport estremi.
Ma è anche il momento più critico. Perché il vero rischio non è sempre oggettivo, come il freddo, il vento, i crepacci. I pericoli più subdoli sono quelli soggettivi, il cosiddetto “fattore umano”.
E ciò vale non solo in montagna, ma nella vita di tutti i giorni.
Ci siamo evoluti per usare le “scorciatoie mentali” (o euristiche) utili a prendere decisioni complesse nella nostra vita quotidiana. Un retaggio fondamentale di epoche in cui il pericolo era una costante, e il rischio che una tigre dai denti a sciabola spuntasse da dietro un cespuglio era reale. Dalla velocità della nostra risposta istintiva, in quei casi, dipendeva la differenza tra vita e morte.
Le “scorciatoie euristiche” sono quindi strategie cognitive che permettono alle persone di elaborare più rapidamente decisioni, dare giudizi sociali, comprendere concetti. Fondamentali se ci si trova davanti alla suddetta tigre.
Ma oggi, dopo la sua estinzione? Tanto nelle città quanto in montagna, rischiamo di cadere in vere e proprie “trappole euristiche”; un temibile pericolo soggettivo.
È per questo che l’allenamento fisico non basta; serve sviluppare pensiero critico e capacità di analisi della situazione. Ma anche consapevolezza dei rischi di queste trappole, il cosiddetto “fattore umano” o rischio soggettivo.
Ad esempio, per arrivare in cima al Monte Bianco, così come per riuscire ad avere successo nel Change Management, non possiamo limitarci a seguire ciecamente una persona esterna, per quanto sicura ci sembri.
Se prendesse la decisione sbagliata, per esempio se cadesse nella trappola euristica della ricerca della leadership (o sindrome del lupo), la seguiremmo in quel crepaccio che promette di farci evitare. Saremmo vittima dell’effetto gregge, e noi non saremmo altro che pecore.
Nei momenti più complessi se chi deve decidere non è un esperto, oppure non è pienamente consapevole della situazione, allora la sua scelta sarà tanto efficace quanto il lancio di una monetina.
Cinquanta e cinquanta. La stessa percentuale del caso.
Allo stesso modo, se nel lavoro non mettessimo mai in discussione le decisioni altrui, smettendo di interrogarci sulle soluzioni alternative, delegando la responsabilità dell’azienda di cui siamo parte solamente a chi è più alto in grado, non saremmo altro che numeri. Diventeremmo ingranaggi di un meccanismo in mano ad altri, non risorse.
E così pure, le aziende che operano in un mercato competitivo - ma ciò vale anche per le spedizioni in montagna - non hanno successo senza l’apporto dell’intero gruppo.
“Lo abbiamo sempre fatto così, cosa vuoi che sia?”.
“Siamo arrivati fin qua, dobbiamo portarlo a termine ormai”.
“Sono le condizioni ideali, cosa può andare storto?”.
Sono frasi che potremmo dire tanto in montagna quanto come nel confortevole - e sicuro - ambiente del nostro ufficio.
Potrebbero essere proferite da un compagno esperto di montagna, così come da un capo in azienda.
E sono indizi: tipiche impronte lasciate nella neve dalle trappole euristiche.
Possono ingannare tutti, novizi ed esperti, saggi e stolti.
L’unica arma per difenderci è saperle riconoscere, riconoscere il pregiudizio mascherato da decisione logica.
Come difendersi, dunque? Come mettersi al sicuro non solo dai rischi oggettivi, ma anche, per quanto possibile, da quelli soggettivi?
Le trappole euristiche hanno un solo punto debole, una sorta di formula matematica per disinnescarle: sono inversamente proporzionali all’esperienza.
Per questo l’incontro con il CAI è stato tanto importante.
Per questo ci mettiamo due anni a fare un percorso di allenamento e conoscenza dell’alpinismo e di noi stessi: perché scalare il Monte Bianco non significa seguire diligentemente la persona davanti a sé, ma riuscire a comprendere se quella persona stia andando dritta verso il pericolo.
Perché non è una gita in montagna, ma un percorso di Change Management.
Noi gestiamo il cambiamento.
Noi combattiamo quotidianamente le trappole euristiche, il “si è sempre fatto così, è questo il modo migliore”.
Il Monte Bianco è una scelta importante, un grande cambiamento, da affrontare con consapevolezza.