Un’altra alba dà inizio a questa giornata. È una cosa che si impara presto quando si fa trekking: ci si alza insieme al sole, non c’è scampo. La strada che ci aspetta oggi è lunga, siamo diretti in Val Masino, per la seconda uscita di preparazione del progetto M4810. Percorriamo tutto il lato orientale del Lago di Como, su su verso la Svizzera, e le montagne si fanno sempre più alte man mano che ci avviciniamo al nostro punto di partenza: le pendici del Monte Disgrazia.
All’ombra della sua imponente forma, lo guardiamo un po' perplessi per il suo nome. Non sembra proprio essere di buon auspicio! Ma la nostra guida alpina, che ci accompagnerà nelle ore di trekking verso il Rifugio Ponti, a 2559m, ride della nostra scaramanzia e ci assicura che non c’è niente da temere dalla montagna: in realtà è un gioco di parole, veniva chiamato Monte Des'giascia, per i suoi ghiacciai, e i locali hanno pensato bene di storpiare un po’ la pronuncia. In effetti, nonostante a Milano abbiamo lasciato gli afosi 31 gradi di fine giugno, qui tira un vento gelido e le montagne sono puntellate di chiazze bianche...neve! Si vede che facciamo sul serio, siamo diretti ad altitudini elevate e il paesaggio è ben diverso, aspro e montano, più simile a quello che incontreremo nel 2020 sul Monte Bianco.
Lo spirito che anima il gruppo è diverso da quello dell’altra volta. Qualcuno manca all’appello, ma la maggior parte delle persone sono motivate e piene di voglia di farcela. Hanno superato la prima esperienza, che per molti era prima per davvero, si sono resi conto dei propri limiti ma anche di potercela fare. Alcuni si sono allenati nuovamente nell’ultimo mese. Insomma, questa volta i pronostici sono buoni: forse riusciremo a pranzare al rifugio tutti insieme!
Iniziamo a salire in questo paesaggio idilliaco che è la Val Masino: il fiume scorre nel mezzo, azzurro come se lo avessero colorato artificialmente, e il rumore dell’acqua accompagna i nostri passi. La comitiva è più chiassosa e attiva che mai, tutti chiacchierano a voce alta per sovrastarlo, si ride e si scherza come se fosse una scampagnata tra amici. Mi continua a sorprendere questo vibe straordinario nel gruppo, vedendoli non diresti mai che sono colleghi, sembrano un gruppo di amici d’infanzia che si conoscono alla perfezione!
Il sentiero è piuttosto provante, scalini e scaloni di roccia che fanno urlare pietà ai polpacci. Come sempre ci sono i più esperti che aprono la fila, con passo veloce e sicuro che noi comuni mortali invidiamo, e ci si divide in gruppetti più piccoli, omogenei per passo, a chiacchierare e condividere la fatica, per poi ritrovarsi ogni tanto in qualche sosta accanto al fiume, a tirarsi l’acqua e fare le foto di rito.
“Che meraviglia!”, sussurra trionfalmente qualcuno, quando raggiunge un belvedere. “Odio la montagna", sibila invece qualcun altro, sudato e distrutto dalla salita. Anche questa è parte della sfida...chissà chi arriverà alla fine di questo percorso di cambiamento superando anche le proprie convinzioni.
Saliamo e saliamo, sembra pazzesco il dislivello che abbiamo superato, quando ci si guarda indietro e si vede il fiume scorrere placido e blu laggiù in fondo. È bellissimo vedere come i più esperti si prendano cura di quelli alle prime armi, molti di quelli che potrebbero scattare in avanti senza fatica rimangono nelle retrovie, a ricordarci che stiamo facendo questa cosa tutti insieme. Quando ci troviamo con il rifugio in vista, guardo l’orologio sorpresa: sono già passate due ore ma mi sembrano volate, tra chiacchiere e risate, e non mi capacito di come siamo riusciti a salire così velocemente, pur senza smettere di parlare...si vede che l’allenamento serve! E per non farci mancare niente, si scatena anche una mezza battaglia a palle di neve, mentre si attraversa un tratto esposto a nord, dove il sole estivo non ha ancora fatto il suo lavoro.
Arriviamo al rifugio, la bocchetta Roma che segna lo svalico nell’altra vallata in vista: parte del gruppo è già lì a prendere il sole, l’altra sta arrivando...una breve verifica via radio ci conferma quello che sentivamo già dal mattino, cioè che ci siamo tutti, stanno arrivando anche gli ultimi! Ce l’abbiamo fatta, questa volta tutti insieme, con la forza dei singoli a spingere il gruppo, e viceversa. Ovviamente, lo spirito a tavola in queste circostanze è ben diverso: siamo tantissimi, riempiamo da soli la sala da pranzo del rifugio, gente che si alza e va a brindare con altri, sedie che si scambiano, l’allegria (e il vino) scorrono a fiumi.
Tanto che, quando finiamo di mangiare, la carica di molti è ancora al massimo, e alcuni di noi decidono di fare la follia suprema: continuare a salire verso la bocchetta, nonostante lo stomaco pieno!
Follia davvero, perché il sentiero non si può proprio definire sentiero...è una serie di sassi da scalare e saltare, ricorda più quando al mare ci si avventura sugli scogli che un trekking. Ma anche la carica più grande si deve ridimensionare davanti alla volontà della montagna: ci blocca il passo un nevaio enorme, in cui chi si avventura sprofonda nella neve come se stesse andando a sciare, tra le grasse risate dei restanti. Niente, la bocchetta aspetterà un’altra volta per essere conquistata.
Torniamo al rifugio e scopriamo che parte del gruppo ha già iniziato a incamminarsi, è ora di rientrare. Tutta l’energia e la carica di oggi si manifestano al massimo in discesa, tanto che alcuni matti corrono e saltano come stambecchi - con buona pace di quelli di noi con le caviglie deboli, che arrancano su questo terreno maledetto sperando di non mettere il piede su un sasso mobile! L’energia diventa sfida, e perdiamo di vista i primi del gruppo molto in fretta, scomparsi nell’ombra del Monte Disgrazia.
La discesa si fa sentire molto più della salita, o forse proprio perché la salita l’abbiamo sentita troppo poco. Quando torniamo in piano e incontriamo di nuovo il fiume, è una goduria! Tutti si tolgono le scarpe, i più coraggiosi immergono i piedi nel torrente glaciale urlando di dolore e piacere. Da qualche zaino spunta pure un frisbee, ma sembra volersi rinfrescare anche lui e continua a finire nell’acqua, tra salvataggi eroici e grandi risate!
Tutto fin troppo perfetto...vero?
Appunto. Quando anche gli ultimi arrivano dove ci siamo radunati, ci rendiamo conto che manca un membro del gruppo all’appello! Momenti di tensione serpeggiano tra i presenti: chi l’ha visto? Quando è sceso? Era davanti o dietro? Viene fuori che lui e un altro del gruppo si sono fatti prendere un po’ troppo la mano dalla competizione, correndo in discesa, e hanno dimenticato la prima regola della montagna: seguire sempre il sentiero! Per cui si sono trovati da soli da qualche parte lungo la montagna, e nella foga di riprendere la strada giusta si sono persi di vista.
Solo che uno è arrivato sano e salvo, l’altro manca. E il Monte Disgrazia dà ironicamente credito al suo nome, se non altro perché oscura qualunque segnale telefonico e non abbiamo modo di chiamarlo. Un po’ di preoccupazione aleggia sul gruppo, questa non ci voleva. Si sarà fatto male? Si sarà perso? Non si capisce dove sia finito, nessuno lo ha visto superare né lo abbiamo incontrato dopo la partenza dal rifugio! Qualcuno si arma di coraggio e risale il ripido crinale, nel tentativo di andarlo a cercare; altri proseguono verso il parcheggio dove abbiamo lasciato le macchine, sperando che sia andato direttamente lì. Rimane qualcuno a fare da ponte radio nel mezzo, per riuscire a comunicare. Nonostante sia improbabile che sia successo qualcosa di grave veramente, l’atmosfera è un po’ tesa, come è ovvio che sia.
Ad un certo punto la radio gracchia, e risuona la voce ironica del disperso: “allora? Quanto siete lenti!”. Tutti si mettono a ridere, sollevati!
Il gruppo che è andato alle macchine lo ha effettivamente trovato lì, un po’ abbattuto e sbucciato nelle gambe per il piccolo incidente di percorso che ha avuto. Dopo essere uscito dal sentiero e aver perso di vista il compagno, non è più riuscito a ritrovare la strada, così ha tagliato in mezzo ai ginepri dritto verso le macchine per uscire da quella situazione!
Quando ci ritroviamo tutti insieme, non si risparmiano sfottò e risate. La guida ci racconta ironica di aver fatto tanti campi estivi di bambini, e che il primo che si perde è un manager di un’azienda di consulenza. Cose su cui non si possono risparmiare prese in giro e battute! Ma c’è anche una nota seria, una maggiore consapevolezza, necessaria, del fatto che questo non è un gioco: la montagna non scherza, e per arrivare sul Bianco non possiamo scherzare troppo neanche noi. E mentre tutti ci siamo ritrovati a lavorare ancora più in squadra per far fronte alla possibile emergenza, qualcuno ironizza sul fatto che abbiamo imparato una lezione importante anche da questa cosa. E in effetti, è proprio così.