Ogni volto mostra un profilo di montagna. Ogni zaino contiene emozioni, esperienze e desideri propri. Tutti diversi. Tutti in cammino. Tutti alla ricerca delle tracce di un percorso non ancora scritto.
Questo è il viaggio di un’organizzazione che per guardarsi dentro ha deciso di guardarsi da fuori; per non assomigliare a sé stessa ha deciso di spostare i propri confini; per capire il cambiamento degli altri ha deciso di uscire dalla propria zona di confort. Questa è la storia di un’organizzazione che si occupa di gestione del cambiamento e che vuole imparare delle lezioni di cambiamento delle proprie donne e uomini.
Sono passati alcuni mesi dal primo passo di questo percorso e questo è il racconto delle prime lezioni impartite. Il maestro è la montagna. La classe numerosa. La lezione senz’appello. L’aiuto viene dal tempo, che facilita la riflessione. L’insegnamento è prezioso.
Cambiare è il verbo all’infinito dell’inevitabile.
Cambiare le organizzazioni ha a che fare con una condizione di principio, atto d’inizio e valore d’intenzione: si definisce ‘change vision’. Ha a che fare con una sfida lanciata a sé stessi e all’organizzazione. È iniziata così l’avventura M4810.
“Dicono che la linea di demarcazione tra genio e follia sia molto labile. Non so se sia così ma ammetto di averci pensato”.
“Quando mi hanno proposto di salire in vetta, mi è sembrata fin da subito una scelta naturale.”
“Guardavo gli altri alla ricerca di un’emozione che assomigliasse alla mia ma più cercavo e più mi rendevo conto che ciascuno aveva vissuto un momento del tutto suo”.
Questi sono solo alcuni dei pensieri che circolavano nelle menti e nei cuori di tutti durante la convention 2017, all’annuncio, inaspettato, del nostro CEO: “Abbiamo pensato di lanciare una sfida a ciascuno di noi e al nostro team. Creare e vivere un grande cambiamento, il più grande, sulla nostra pelle. Cambiare noi stessi per continuare la sfida che ci siamo dati nel 2014 e raggiungere i nostri obiettivi del 2020. A 4810 metri d’altezza. Scalare il Monte Bianco!”.
La sfida è lanciata. In Sardegna. A Chia Laguna. Vista mare.
La prima equazione del cambiamento può essere cinicamente riassunta in questo modo: visione senza esecuzione = allucinazione.
Come si fa a riempire lo spazio tra l’irreale e il reale?
Trasformare la vision in execution ha a che fare con un percorso costruito su più livelli: primo - costruire un piano; secondo - realizzare il piano; terzo - imparare dal piano e capire cosa cambiare.
PRIMO: COSTRUIRE IL PIANO
Siamo ancora al chiuso di una sala riunioni e il nostro team di lavoro incrocia gli sguardi. Il sottointeso è espresso da sé: come si costruisce un piano del genere?
La costruzione di un buon piano di change management ha a che fare con un principio chiaro. Non si costruisce un piano efficace semplicemente seguendo il buon senso ma scegliendo le attività giuste, per le persone giuste, al momento giusto.
Come si fa a stabilire quali siano queste attività giuste, per le persone giuste, al momento giusto? Partendo da buone domande.
Ed ecco che il team di lavoro si pone le prime buone domande: come si portano 40 persone sul Monte Bianco? Come facciamo a gestire le differenze di età, di preparazione, di volontà ad aderire a questa sfida? Quali sono le competenze che ci mancano? Quali sono le difficoltà che incontreremo? Soprattutto, cosa vogliamo portarci a casa da tutto questo?
Il problema non viene risolto in meno di 5 minuti. Ma le domande sono buone. E le risposte sono incoraggianti. Un piano efficace, in fondo, lo sappiamo fare per mestiere.
SECONDO: REALIZZARE IL PIANO
La preparazione al cambiamento la chiamiamo change readiness.
Quanto siamo pronti? Cosa pensiamo di questa sfida? Cosa ci aspettiamo che accada? E, soprattutto, come fare per conoscere questi elementi?
La risposta in questo caso è semplice, casereccia. Come per i progetti di cambiamento per i nostri clienti, decidiamo di ascoltare l’organizzazione.
Partono le prime survey e le prime sessioni di ascolto.
Ancora prima di allacciare il primo scarpone, quindi, rileviamo le emozioni, le sensazioni e le aspettative che ciascuno proietta in questo viaggio. Le terremo monitorate.
Per alcuni, la montagna, è mondo nuovo e le reazioni sono quelle tipiche di un cambiamento organizzativo: entusiasmo e adrenalina vs paura e dubbi di potercela fare. Per altri ancora, la scoperta non è di contenuto ma di relazione: conoscere la montagna è diverso da trovarsi con colleghi che la conoscono meno e che viaggiano magari a velocità diverse.
Subito dopo arrivano i primi incontri con medici e guide alpine.
Sì, perché per noi change readiness non significa solo predisposizione al cambiamento ma preparazione al cambiamento e ciò richiede anche conoscenza del contesto e costruzione delle prime competenze utili a muoversi nel contesto.
Ci insegnano come si fanno i segnali di soccorso e a prestare le prime cure in caso di infortuni (sperando non servano). Scopriamo che per affrontare un’impresa del genere abbiamo bisogno di controllare il nostro stato di salute attraverso check up medici e valutare le nostre condizioni di partenza per iniziare un allenamento appropriato e seguire una corretta dieta alimentare. Cominciamo a conoscere la montagna, nei suoi linguaggi e segnali. Scopriamo che i colori Salewa non sono solo belli ma anche utili: già. Il giallo, il rosso, l’azzurro. Pensavamo fosse solo una scelta stilistica e scopriamo che non è vero che il nero va bene sempre e con tutto: in montagna bisogna farsi vedere.
Non siamo ancora partiti e ci sentiamo frastornati ma un po’ più attrezzati.
Le prime uscite in montagna, però, hanno il sapore di una nuova scoperta. Dal vivo. Per quanto ci si prepari, la realtà sorprende sempre.
Non semplice realizzazione del piano ma applicazione passo dopo passo. Ciascuno al suo ritmo, ciascuno col suo zaino. E i suoi pensieri.
Prima di partire, siamo convinti di essere un grande squadra. Esposti al vento, ai capricci del meteo, facciamo la tara tra teoria e pratica.
Seguiamo alcuni buoni consigli che ricordiamo, altri li dimentichiamo. Il ritmo lo dettano gli esperti, le guide ci aiutano nel cammino, il gruppo parte unito e poi si sfilaccia. Sempre.
Tuttavia, ad ogni uscita raggiungiamo gli obiettivi di tappa: scopriamo così di riuscire a camminare per più di 5 ore ad ogni tappa, nonostante i 1000 metri e più di dislivello, in salita e in discesa. Con il sole e con le prime piogge.
Macinando chilometri scopriamo di essere una banda. Ma, in fondo, anche una grande squadra. Iniziamo a capire.
TERZO: IMPARARE DAL PIANO E CAPIRE COSA CAMBIARE
Il nostro mentore è Maurizio Cheli. Professione: imprenditore. Ha costruito un’azienda nel settore aeronautico. Ai più è conosciuto come astronauta, a bordo dello Space Shuttle Columbia, è il primo italiano a ricoprire il ruolo di Mission Specialist nel 1996. Passioni: tante. Una di queste lo porta a scalare l’Everest nella primavera del 2018, chiudendo un cerchio che l’ha portato, come nel cambiamento, ad assumere 2 prospettive diverse: l’Everest visto dallo spazio e lo spazio visto dall’Everest.
Non poteva che essere il nostro mentore.
L’unico errore nella vita è non imparare dagli errori, ci ha detto un giorno citando, Einstein. Così, iniziamo a riflettere sui nostri.
Ne abbiamo fatti? Sì, certo. Il cambiamento è fatto così: si fanno passi avanti, qualche passo di lato e perfino qualcuno indietro. Come il dashboard nei progetti di cambiamento, stiamo monitorando cosa funziona e cosa no.
Ad ogni tappa, una survey interna ci aiuta a fare il punto della situazione.
Così come gli approfondimenti a valle di ogni uscita e ogni preparazione che ci porta a riflettere su cosa fare di uguale e cosa fare di diverso la prossima volta. E qualcosa di diverso c’è sempre. La sensazione è che ogni volta fai meglio e al tempo stesso scopri nuovi spazi di opportunità e miglioramento.
Qualcuno dice che all’inizio di un processo è importante sbagliare spesso così da avere successo prima.
Ci interroghiamo sui primi punti su cui dobbiamo lavorare.
Come fare a gestire un gruppo che viaggia a velocità diverse? Dobbiamo organizzarci e costruire dei sotto-team. Come facciamo ad evitare situazioni pericolose? Decidiamo che non sarà più concesso camminare da soli. Come fare se non tutti arriveranno in cima o se non tutti se la sentiranno di arrivare in cima? La sfida è un grande progetto che richiede il contributo di tutti: non solo chi salirà, ma chi si preoccuperà di aiutare gli scalatori nelle mille cose che una spedizione di questo tipo richiede. E così via.
Scopriamo anche che aumenta l’adesione all’idea di M4810 ad ogni tappa che facciamo. Ormai, siamo tutti convinti della straordinaria potenzialità del nostro percorso. Non ci sono più dubbi.
Ogni volto assume un profilo di montagna. Ogni zaino si riempie di emozioni, esperienze e desideri di ciascuno. Tutti diversi e tutti insieme. Tutti in cammino. Tutti perché nel viaggio non conta solo l’arrivo ma anche, soprattutto, il percorso. E questa è un po’ la filosofia con cui le persone stanno affrontando non solo la sfida M4810, ma la sfida di business, la sfida imposta dall’ambiziosa vision dell’azienda: prima ancora di gioire del traguardo, godiamoci la bellezza del percorso, assaporiamolo, viviamolo nella sua intensità, ci offre opportunità di cui dobbiamo essere consapevoli, certamente colmo di sfide, di ostacoli, di fronti ignoti, ma anche di valore, di crescita individuale e di team, di scoperta e sorprese.
Tutti alla ricerca delle tracce di questo percorso non ancora scritto, sia in montagna sia nel lavoro quotidiano.
Sono passati alcuni mesi dal primo passo di questo percorso e questo è il racconto delle prime lezioni impartite. Il maestro è la montagna. La classe numerosa. La lezione senz’appello. L’aiuto viene dal tempo, che facilita la riflessione. L’insegnamento è prezioso.
Ed è solo l’inizio.