Anche una persona allenata e abituata alla montagna potrebbe facilmente sottovalutare la complessità che il Tetto d’Europa rappresenta, soprattutto per un gruppo numeroso e variegato come i novelli alpinisti che si stanno formando in quest’azienda. Alcune difficoltà, poi, non erano nemmeno lontanamente immaginabili, quando quest’idea ha iniziato a prendere forma.
Chiunque abbia aperto un giornale negli ultimi mesi non può non sapere l’ultima, grande novità che riguarda il Monte Bianco: la recente introduzione di un “numero chiuso” di alpinisti a cui è consentito provare a raggiungere la cima.
Una decisione criticata e sofferta. Salutata da alcuni come una giornata storica per la montagna più famosa d’Europa, perché aiuterà a contenere il numero di incidenti, ridurre il problema dei rifiuti e dell’inquinamento, e in generale valorizzare l’accesso al Tetto d’Europa. Ma anche criticata e preoccupante, sia perché, come ha espresso Hervé Barmasse, “vietare l’accesso alle montagne significa togliere la libertà”, sia perché, come teme il sindaco di Chamonix, potrebbe spingere molte persone non adeguatamente preparate a tentare la scalata per altre vie, più difficili. Con ovvie, tristi ricadute sul numero dei feriti, o peggio.
In un simile contesto di cronaca, la spedizione M4810 si fa ancora più importante. Non rappresenta solo la sfida di una società che decide di affrontare il cambiamento, ma un esempio di come questo genere di impresa debba essere affrontata.
Il processo di allenamento e preparazione che noi di Methodos stiamo affrontando è l’emblema del nostro impegno a non sottovalutare la montagna e le sue difficoltà.
Sicuramente, queste decisioni politiche pongono una difficoltà in più.
Il permesso dovrà essere richiesto con largo anticipo, prenotando il posto al rifugio del Goûter per un numero consistente di persone in una data specifica. Il meteo sarà d’accordo con il giorno che sceglieremo? L’innevamento necessario per percorrere in sicurezza la via francese sarà sufficiente? Sono tutti dubbi che non possiamo trascurare, e che dobbiamo prendere in considerazione nel processo che stiamo affrontando.
È vero, l’ultima parola è sempre della Natura. E per il Monte Bianco è più vero che mai, con i suoi 4.810 metri di altezza, lassù tra ghiacciai e nuvole.
Non basta una preparazione atletica di due anni, quindi. Non bastano le visite mediche, gli allenamenti, le uscite, la palestra. Servirà anche qualcos’altro, un elemento di flessibilità e adattamento non indifferente, di consapevolezza dei rischi e dei propri limiti. Raggiungere il nostro obiettivo non sarà solo una questione di gambe e fiato, ma anche e soprattutto di organizzazione, di decisioni, di supporto anche da interlocutori esterni, di compromessi. Cosa faremo se una via non dovesse essere percorribile?
Per raggiungere il Tetto d’Europa ci sono più strade, ma la via normale francese è la più nota e frequentata. E soprattutto, la più sicura. Scegliere di cambiare percorso significa inserire una nuova variabile di difficoltà, in un progetto che già di per sé pone tante sfide.
Stiamo lavorando per portare decine di consulenti, con le più svariate attitudini e propensioni alla montagna, a valorizzare il proprio talento e metterlo al servizio di questo progetto. Ci stiamo allenando per raggiungere un passo omogeneo, uno spirito di squadra adatto, una coesione unica. Ci stiamo preparando con i giusti passaggi graduali alla sfida dell’altitudine, un malessere insidioso e pericoloso, che potrebbe cogliere chiunque, anche i più tonici.
Il dialogo con i ragazzi del CAI e con le Guide Alpine si fa via via più fitto: valutiamo le opzioni, i rischi; prendiamo anche in considerazione l’ipotesi di dover cambiare destinazione.
I consigli e le informazioni si incrociano, si sommano, si annullano. Anche questo processo è importante, la presa di consapevolezza.
Ma in fondo, non importa quale sarà la meta finale di questa spedizione: l’importante è il viaggio.
Il cambiamento, che era lo scopo ultimo di questo progetto, sta avvenendo innegabilmente. Un gruppo di consulenti, senza particolari conoscenze pregresse di montagna, si sta impegnando anima e corpo per modificare il proprio mindset e far progredire la spedizione. Se ci lasciassimo scoraggiare dai limiti, dagli ostacoli che la natura ci pone, non faremmo altro che nasconderci dietro a un alibi, la scusa che c’è qualcosa di più grande di noi che non possiamo combattere.
La nostra forza è proprio questa, invece: che non vogliamo scalare il Monte Bianco per mettere una bandierina sulla sua cima. Vogliamo scalare il Monte Bianco per mettere una bandierina dentro di noi, che ci ricordi che nessun cambiamento è troppo grande, se affrontato nel modo giusto.