Di rientro dalla sfida di Punta Lechaud, stanchi morti ma sorridenti, fradici dopo la nostra discesa “alternativa” a colpi di scivolate sul sedere, iniziamo a incontrare i membri dell’altro gruppo M4810: invece di fare la scalata alpinistica, avevano affrontato un lungo giro ad anello nella vallata circostante.
Pensavamo di essere noi quelli con qualcosa da raccontare, visto il metodo molto gioviale utilizzato per scendere a valle... ma scopriamo che ne hanno più loro!
“Hai saputo?”, è la prima domanda che circola nelle veloci conversazioni in stile gossip che ci scambiamo con l’altro gruppo.
Cosa ci siamo persi?
Viene fuori che la loro sfida non è stata meno avventurosa della nostra, anzi. L’abbondante neve tardiva di quel giugno un po’ matto, che ci ha costretti a cambiare destinazione rispetto al Petit Mont Blanc, ha sbarrato loro la strada più volte, con nevai anche strapiombanti da attraversare. Supportati dalle guide alpine, che hanno teso corde di sicurezza da un lato all’altro per attraversarli, non si sono scoraggiati e hanno affrontato l’avversione nei confronti del ghiaccio che contraddistingue molti di loro. Tutto bene la prima volta, la seconda, la terza… finché non succede qualcosa.
Su un nevaio particolarmente ripido, dalla fila ordinata di puntini gialli e blu che contraddistingue le nostre uscite, una figura si stacca d’improvviso: Andrea B., scivola e perde la presa sulla corda, inizia a prendere inesorabilmente velocità sulla neve fresca.
Nei seguenti pochi secondi - che sembrano ore - mentre le guide alpine cercano di aiutarlo e il resto del gruppo trattiene il fiato, un reattivo Andrea non si fa prendere dal panico: rotola sul fianco e, con la prontezza dell’alpinista navigato, utilizza la racchetta come una piccozza per frenare la sua corsa e fermarsi, in attesa dell’aiuto in arrivo. La ola che segue e i sussurri eccitati che percorrono il gruppo, fino ad arrivare al nostro, lo consacrano ufficialmente tra le figure eroiche di questa narrazione.
Sono quindi curiosissima di parlargli quando, arrivata a valle, lo intravedo seduto al bar di Courmayeur, che mi sorride con il suo caratteristico sguardo sereno e placido mentre sorseggia una birra.
“La caduta? Sì, che storia...”, mi risponde tranquillo quando lo tempesto di domande. “No, non ho avuto paura dai. Ho avuto la prontezza di riflessi di girarmi subito, prima di prendere velocità. Niente di cui preoccuparsi!”.
E certo, che eroe sarebbe se si montasse la testa?
Che Andrea sia una persona che la testa la usa per ben altri motivi, si capisce facilmente. Basta leggere la sua piccola autobiografia, tra i Protagonisti di M4810: "Non vogliamo raggiungere una vetta senza prima aver imparato quale e come sia; vogliamo imparare a prendere le misure, calcolare le distanze, e insieme muoverci nell'incertezza delle previsioni e dei calcoli compiuti prima del viaggio".
Non poteva che essere un filosofo!
Un filosofo prestato all’informatica, alla grafica e alla consulenza di change management, per la precisione.
“Tengo il piede in due scarpe, anzi, in molteplici... ed è questo il bello. È la cosa meravigliosa che Methodos ti lascia fare: ti permette di trovare la tua dimensione, di mettere insieme l’animo artistico con quello analitico, l’approccio umanistico e quello scientifico, perché è il dualismo che incarna la società stessa. È il contesto di un’organizzazione che aiuta gli altri a cambiare e crescere”.
E non perde il suo animo multiforme nemmeno in montagna, anzi. Più sale, più ragiona sulla salita e su ciò che sta facendo.
È sempre stato un montanaro di sostanza, sua madre è nata in un paesino sotto il Monte Bianco e la sua vita è stata segnata dai profili di quelle montagne. Ma il suo approccio, fino ad ora, non era stato mai alpinistico o di performance.
“Ad ogni uscita, vivo diversi momenti: prima c’è la partenza tranquilla, poi la spinta di forza bruta, poi il momento in cui penso di non farcela, e poi improvvisamente cambia la prospettiva, sul paesaggio e su me stesso...e così via. Questo lo ritrovo tanto in M4810 come progetto complessivo, quanto nella vita e nel lavoro.
Forse è proprio ciò che questa spedizione mi sta trasmettendo di più. Come consulenti, questo progetto impatta sulla comprensione della gestione di sé, quando sei davanti a un cliente così come quando stai scivolando sulla neve senza controllo. Comprendi i diversi momenti, e li sai gestire invece di farti gestire da loro. In più, Questo viaggio migliora la resilienza e la capacità di riuscire a trasmetterla agli altri. Nel lavoro ci permette di affrontare un progetto insieme, uscendo dallo schema cliente-fornitore ed entrando in un’ottica di partnership”.
Capisco chiaramente che la parte più interessante di questa sfida per lui è quella mentale, non fisica. È studiare con occhio filosofico come questo cambiamento impatti sull’animo umano e sull’organizzazione di cui fa parte, per poterlo mettere poi a disposizione degli altri.
Partecipare in modo diretto e attivo, seguire l’evoluzione, senza necessariamente sfidarsi ad arrivare in cima.
“Mi piace l’idea di essere arrivato fino a qui, per ora. È stata una scoperta costante e gioiosa.
Ci sono tantissimi altri stream di riflessione che M4810 apre e che sono altro dalla sfida e della performance, e infatti io l’ho sempre visto come progetto più educativo che di prestazione atletica, che ha assunto valore ulteriore per il nostro contesto perché ha forti ricadute pratiche.
Per Methodos rappresenta la concretizzazione di una filosofia di vita e di lavoro. È un esempio del carattere sociale delle organizzazioni più evolute, dell’integrazione degli aspetti del business e della vita sociale, delle persone che ne fanno parte. L’ambizione ad essere un “luogo di vita”.
Non è un caso che tutti i “giganti” si stiano orientando su questo: Google con i suoi benefit intangibili, le società di informatica con il lavoro smart e da remoto... questo di M4810 è un passo nella stessa direzione, nel dare agli interlocutori di Methodos qualcosa di più.
Sono quelle componenti di valore che accrescono i capitali dell'organizzazione: non più solo quello economico, ma anche di relazione, sociale, umano, intellettuale. Ecco, il progetto condensa in modo molto interessante tutti questi temi.
Non sono partito pensando “non arriverò sul Bianco”, anzi, sono rimasto aperto a ciò che il mio corpo e l’esperienza mi avrebbero comunicato. Poi, piano piano, mi sono scontrato con quei limiti che non volevo superare, per motivi oggettivi e soggettivi... ma continuerò a salire, a cambiare e a seguire con passione questo progetto che ci sta dando così tanto”.