In questi due lunghi anni di stop forzato del progetto M4810 dovuti al Covid, non tutto è rimasto fermo. La vita e il lavoro hanno continuato a scorrere, e le persone hanno fatto lo stesso. Abbiamo salutato colleghi che avevano percorso la strada insieme a noi fin dall’inizio e dato il benvenuto ad altri che sono arrivati a continuare il cammino.
Methodos in questi anni è cresciuta, cambiata, ma M4810 è sempre rimasto nell’aria come una sorta di leggenda.
Una storia collettiva, fatta dei racconti di chi aveva partecipato, di immagini e parole lette su queste pagine virtuali da chi invece non c’era stato.
Un progetto a cui i nuovi arrivati guardavano quantomeno con ammirazione, perché non può non colpire fin dalla sua descrizione: un’impresa oltre se stessi. Un percorso di crescita mentale e fisica. Il raggiungimento di nuova consapevolezza. Una sfida che ci spinge a pensare in grande, sempre.
E così, quando le porte di M4810 hanno ufficialmente riaperto, la Methodos di ieri si è trovata a fare i conti con la Methodos di oggi.
L’azienda che aveva collezionato tutte quelle cime si era rinnovata, aveva trovato nuova volontà, passione, ambizione.
E se è vero che questa sfida ci spinge a pensare in grande, sempre, ciò doveva valere anche per questa nuova versione di noi.
Quando sono state aperte le “iscrizioni” alle ultime tre uscite di M4810 - Monte Rosa, Gran Paradiso e Monte Bianco - nella lista dei partecipanti è entrata anche questa nuova Methodos, e tre nomi inediti hanno trovato spazio sotto a quelli dei protagonisti che abbiamo incontrato finora: David, Giacomo e Marco.
Per la maggior parte di Methodos è un finale, per noi l’inizio
“Quando ha cominciato a circolare la voce che forse M4810 avrebbe visto la sua conclusione quest’anno, non avevo dubbi: non potevo non partecipare”.
David è in Methodos dall’inizio dell’anno, e questo progetto era uno di quelli che lo avevano colpito dell’azienda fin dal principio, nelle prime ricerche che si fanno prima di cominciare i colloqui. Non era solo M4810 in sé, ma la narrativa che ne veniva fatta e che arrivava molto forte.
“Ho pensato subito ‘che idea incredibile!’. Quello che si proponeva non solo era un cambiamento vero, da vivere tutti insieme come squadra, era soprattutto molto coerente con quello che Methodos raccontava di sé, con la promessa che fa ai suoi clienti: ‘ti aiuto a cambiare’. Per farlo al meglio metteva in campo un progetto in cui lo faceva letteralmente su se stessa. E poi la potenza della metafora: IL MONTE BIANCO, dico! Insomma, lo trovavo straordinario”.
Giacomo sorride e annuisce: anche lui ha coltivato sentimenti simili, ma per molto più tempo. È entrato in Methodos da due anni, appena prima della pandemia. Quando M4810 era ancora un’idea da realizzare nel 2020. Eppure sapeva che non avrebbe potuto partecipare: era troppo tardi, al momento del suo ingresso nella società, e avrebbe fatto il tifo da terra.
Non è un montanaro, ma un grande amante dello sport in generale.
“O almeno, lo ero prima dell’arrivo del Covid…quando hanno proposto di riprendere M4810 non ero più così allenato! Anche per questo ho detto subito di sì: l’ho vista come una grande opportunità, lavorativa ma anche individuale. Ma soprattutto era la realizzazione di un desiderio che finora la pandemia aveva impedito: vivere un’esperienza forte, anche fisica, con i colleghi. Durante questi due anni abbiamo dovuto imparare a fare tutto da remoto, stringere relazioni senza la presenza, viverci senza esserci. M4810 era l’opportunità di fare un po’ l’opposto, un percorso di cambiamento individuale ma soprattutto vissuto in gruppo”.
Un gruppo che si è ristretto, rispetto alla sua idea originale, ma che ha trovato nuova linfa vitale proprio nell’abbracciare il cambiamento anche nella compagine interna e nel riprendere in modo inclusivo la scalata verso la vetta.
Con tutti i suoi pro e i suoi contro, la scelta di aprire la fine di questo percorso anche a chi non aveva mosso con noi i primi passi voleva essere proprio questo.
“Forse è anche questo che mi aveva colpito, all’inizio”, aggiunge Giacomo.
“M4810 non è solo un processo di change management interno: è un’opportunità per creare unità tra le persone, anche quelle che si conoscono poco - un percorso trasversale a tutto e tutti. Poteva essere un progetto a cui prendevano parte solo quelli allenati, quelli che avevano già fatto la prima parte, invece il fatto che sia stato aperto anche ai nuovi è una grande opportunità, e un bellissimo messaggio.Questo finale, questa chiusura, è importante perché dà a tutti la possibilità di affrontare le stesse sfide, individuali e di gruppo. È già un successo solo aver deciso di farlo”.
L’opportunità dietro una sfida
Ma la decisione di aprire in modo inclusivo M4810 è una doppia sfida, di gruppo e individuale.
Perché gli ultimi passi del progetto non saranno più un semplice test per vedere dove arriviamo: stiamo per affrontare 3 delle cime più alte d’Italia (e d’Europa), con dislivelli impegnativi a oltre 4.000 metri di altitudine.
Il percorso che ci ha portato fin qui come gruppo, con uscite strutturate mensili, è in una fase precedente: in quella attuale, lo sforzo richiesto al singolo è molto maggiore.
Ed è giusto così.
Perché per essere un processo di crescita personale, M4810 deve anche diventare una presa di coscienza, uno sforzo di volontà. Solo questo tipo di atteggiamento, sia individuale sia di gruppo, può portarci in vetta in tutti i sensi.
Ecco quindi che in questi mesi sono stati predisposti tutti i processi per mettere le persone in condizione di allenarsi - l’iscrizione per tutti al CAI, esami medici, un dettagliato documento di milestone e tappe da raggiungere con l’allenamento individuale. Ma la responsabilità finale della preparazione, in ultima analisi, era di ciascuno singolarmente.
“È stato un processo di change nel processo di change”, conferma David.
“Tutto ciò che Methodos diceva di se stessa e di questo progetto, l’idea di mettersi alla prova, cambiare il proprio fisico, il mindset, pensare in grande…sono posizionamenti dal profondo impatto, certo. Ma in questo caso li tocchi con mano, perché vedi il cambiamento sul tuo corpo, che si trasforma, e nel tuo personale modo di pensare. Se la domenica dormivi, ti riposavi, ora ti alzi presto, ti alleni, impari a sfruttare in modo diverso la giornata; cambi alimentazione, abitudini, quello che compri al supermercato è diverso… Tutto questo è affascinante, perché vedi quanto un’idea, un progetto condiviso, possa diventare cambiamento concreto a partire proprio da te, dal tuo corpo”.
Gli appuntamenti a cui trovarsi tutti insieme, infine, sono stati due prima delle grandi sfide finali: un weekend nel Parco del Gran Paradiso e uno di “scuola di ghiaccio”, per arrivare allineati al gran debutto oltre i 4.000.
3.630 metri - Punta Rossa della Grivola, Parco Nazionale del Gran Paradiso
David sentiva di avere un’idea abbastanza chiara di cosa sarebbe successo: le milestone preparate erano molto efficaci, c’erano degli obiettivi chiari di cosa raggiungere e quando. Ciò ha aiutato a prendere consapevolezza di che cosa sarebbe stato anche per chi, come lui, non aveva mai affrontato sfide del genere in vita sua.
Alcune cose però le provi soltanto quando sei davvero lì per la prima volta. Lo zaino, ad esempio.
“Tu hai un’idea abbastanza chiara di cosa ti devi portare nello zaino, pensi di saperlo fare, almeno questo. Poi arrivi alla partenza, la guida ti solleva lo zaino e ti dice ‘è troppo pesante, alleggeriscilo’. Cosa togli? Cosa serve? Cosa NON serve? Tutti ragionamenti che fai sulla base di tue assunzioni, magari sbagliate. E lo zaino funziona da filtro inclemente, che ti ricorda cosa significhi ‘essenziale’ come concetto”.
Ma ci sono anche le difficoltà inaspettate della discesa, infida compagna spesso peggiore della salita.
Per Giacomo è stata proprio la discesa di 2.100 metri a rappresentare una spiacevole sorpresa - è arrivato distrutto, disidratato, scottato dal sole.
“Mi concentravo sulle caviglie e le ginocchia, sul non farmi male. E invece ho scoperto che le difficoltà erano altre, a cui non ero preparato: è una sfida, quindi devi chiederti ‘quali risorse ho per affrontarla?’. Possono essere individuali, ma anche di gruppo: puoi chiedere acqua a qualcuno, ricorrere ad altro a cui non avevi pensato, etc. Sono cose che poi ti porterai dietro in qualsiasi contesto”.
La prima esperienza M4810 di David e Giacomo nel massiccio del Gran Paradiso è all’insegna della scoperta. È dura, cruda, ma di una bellezza che riempie gli occhi e il cuore.
Ciò che per noi è rispolverare vecchie conoscenze, per loro è pura novità. Dalle difficoltà nella gestione del team alle problematiche sull’imprevedibilità del cambiamento, è un percorso accelerato tra i temi che abbiamo affrontato su questo blog.
Ma ancora di più lo è l’incontro con il ghiaccio.
3.848 metri - Sui ghiacci della Vallée Blanche
La bellezza ghiacciata e bianca della Vallée Blanche è probabilmente la cosa più vicina alle vette che stiamo per affrontare che abbiamo visto nel nostro percorso. Per questo la cosiddetta “scuola di ghiaccio”, in cui provare i movimenti in cordata, con ramponi e piccozza, ha avuto luogo qui. Per molti era un ritorno, per Giacomo e David una prima volta.
La cosa più interessante, per David, è stato provare la cordata.
“È una concreta connessione con l’altra persona: la corda ti ricorda in modo molto evidente quanto è facile dimenticarsi di ascoltare le altre persone. Ma se ti concentri sul tuo obiettivo da solo magari vai troppo lento, oppure tiri l’altro, rischi di cadere.Raggiungi un buon risultato solo se riesci a ponderare la tua determinazione con l’ascolto dell’altro, con le esigenze dei tuoi compagni”.
Ma anche mettere i ramponi per la prima volta.
“Con loro devi creare una sorta di partnership”, dice. “Tu fai il tuo, ti devi fidare che il rampone farà il suo. Si tratta di reimparare cose che dai per scontate: come mettere giù il piede, ad esempio”.
Difficoltà e paure che vanno a sommarsi all’incertezza delle condizioni, alla fiducia necessaria, ai pericoli oggettivi della montagna.
Fare esperienze del genere significa ricordarsene, affrontare anche quella consapevolezza: i ghiaioni possono diventare frane, sul ghiaccio si scivola, etc.
È una delle cose che apprezza di più Giacomo di questo percorso:
“I momenti di debrief sono fondamentali, perché mentre sei lì non puoi affrontare più di tanto queste paure, ma avere una discussione in momenti strutturati permette di sapere come comportarsi in quelle circostanze”.
La montagna è imprevedibile, ma proprio per questo non si può affrontarla alla leggera o solo confidando nelle guide, senza prima informarsi e formarsi: è il motivo per cui tutto questo è stato strutturato come un percorso, non come un paio di uscite spot.
“Le sfide hanno un enorme potenziale, perché servono a capire come ci si relaziona con esse come individui e come gruppo”, conclude Giacomo. “I rischi ci sono e non ci puoi fare niente, ma sapere come comportarsi se dovessero concretizzarsi e ragionarci sopra - quello è il vero percorso di crescita da fare”.