Ad ogni uscita di allenamento di M4810, oltre il fruscio del vento, il rumore dell’acqua nei torrenti e il ritmo degli scarponi sulla roccia, c’è sempre un altro suono che ci accompagna. Quello delle infinite chiacchierate che, nonostante il dislivello che ogni volta affrontiamo, non viene quasi mai meno.
E tra le voci diverse che popolano questo sottobosco di discorsi, ce n’è una che mi ha colpito particolarmente durante l’ultima uscita, per la potenza e per l’allegria che emana.
È quella di Angelo, un ragazzone alto e moro dal viso solare e la risata facile. Nell’ultima tappa della nostra avventura per qualche motivo la nostra strada è stata diversa da quella della maggior parte dei membri del gruppo, e mi ha fatto scoprire una nuova dimensione della montagna - la sua.
Iniziamo a chiacchierare perché gli sento fare una battuta che lo identifica senz’ombra di dubbio come uno psicologo, e davanti alla mia curiosità mi fa scoprire l’esistenza di una facoltà straordinaria: psicologia del benessere.
“Bellissimo! Quindi per te non poteva esserci sbocco più naturale di Methodos, giusto?”.
“In realtà, sì, ma non l’avrei mai detto. Anche perché non avevo idea che esistesse qualcosa del genere finché non ci sono capitato dentro: stavo lavorando alla mia tesi e mi sono ritrovato a collaborare con uno di coloro che sarebbero diventati i miei colleghi. È stato un caso fortuito, sia come situazione che come tempismo: proprio in quel periodo Methodos stava per inaugurare la sua start-up, Digital Attitude.
L’utilizzo della tecnologia per aiutare le persone a cambiare, principio fondativo di DA, è ciò che mi ha spinto ad entrare nel team, e il mio background accademico e la mia specializzazione di tesi si integravano perfettamente con ciò che stavano facendo. E così, da esattamente un anno e tre mesi, sono parte della famiglia!”.
Il caso, la fortuna o la sorte. La stessa che, a pochi mesi dalla tua assunzione nella più importante azienda di Change Management d’Italia, ti fa trovare vestito da alpinista a più di 2.000 metri. Una vera e propria scalata al successo. Gli chiedo come abbia vissuto la notizia di M4810, e lui scoppia in una delle sue sonore risate che costringono a ridere anche me.
“La prima volta che ho sentito del progetto, pensavo fosse uno scherzo! Io non sono tipo da montagna, datemi una spiaggia e l’acqua e sono felice. Anzi, non ero proprio mai stato tra i monti, neanche a sciare! Quando mi hanno detto che per lavoro avrei dovuto cercare di raggiungere la cima del Monte Bianco, ho pensato di trovarmi in un’altra dimensione, di essere passato attraverso lo specchio senza accorgermene. E in effetti, la montagna è un po’ come essere in un’altra dimensione…”.
Mentre continuiamo a chiacchierare e a salire, il sole scompare dietro le nuvole basse. Quello che era un fastidioso vento freddo diventa una sberla gelida, una manata d’aria che scende direttamente dal ghiacciaio a qualche chilometro da noi. Io tremo come una foglia mentre mi metto tutti gli strati che ho, e rabbrividisco guardando Angelo: lui ha staccato la parte inferiore dei suoi pantaloni tecnici Salewa, e sfoggia con orgoglio la gamba nuda e il calzettone brandizzato, su cui troneggia la grafica del Monte Bianco con la linea rossa della nostra spedizione verso la cima. Si mette a ridere davanti al mio sguardo e mi fa toccare le sue mani: sono bollenti, incredibilmente! Sarà anche un tipo da mare, ma ha delle grosse predisposizioni per la montagna questo ragazzo.
E infatti mi racconta che sta davvero scoprendo un mondo nuovo. I paesaggi, la natura, l’aria totalmente diversa. Ma anche la fatica, il freddo, lo sforzo verso la vetta che sembra non arrivare mai. Sarà per questo che la montagna non lo ha ancora conquistato, non completamente almeno.
“È come andare sulle montagne russe. Mentre il trenino si arrampica sempre più in alto, con quel rumore inquietante di rotaie e metallo, e la terra che si allontana da sotto i piedi, ti chiedi chi diavolo te l’abbia fatto fare. Vorresti scendere, vorresti tornare indietro, ma ormai sei legato e non puoi fare più niente. Quando arrivi in cima, e la forza di gravità comincia a tirarti verso il basso, sei terrorizzato. Ma poi l’urlo di paura diventa di piacere, ridi e ridi mentre ti godi il paesaggio e la corsa. E quando torni a terra, non vedi l’ora di ripartire per il prossimo giro”.
Rido per la metafora, ardita ma sensata: è vero, soprattutto in questo contesto. Le persone che formano la spedizione M4810 sono le più diverse: ci sono gli amanti della montagna e quelli che non ci hanno mai messo piedi, quelli che hanno sempre sognato un’avventura del genere e quelli che sarebbero stati molto più comodi sul divano. Però tutti, alla fine, si stanno godendo la corsa. La sfida è proprio renderla sempre stimolante ma anche accessibile a tutti. E infatti Angelo a volte si chiede fin dove arriverà, quando raggiungerà il suo limite.
“Sto iniziando ad allenarmi, ma non so dove posso arrivare. Sono sempre riuscito a raggiungere la cima finora, ma a caro prezzo. Dopo la prima uscita, credevo di morire!!! Sono arrivato in cima trascinato da chissà quale forza di volontà, ma mi sono distrutto. Pensa che, quando siamo tornati a valle e abbiamo ripreso la macchina, non riuscivo a guidare. No, davvero: una gamba era così rigida e dolorante che non riuscivo nemmeno a cambiare marcia, ho dovuto fare tutto il viaggio in quarta.
Mi accorgo che il mio livello migliora di volta in volta, però. La terza uscita, quella al monte Fallère, è stata la più bella, la più sfidante, ma anche quella che mi ha dato di più: come paesaggi, come atmosfera...e poi la ferrata, la mia prima via ferrata in assoluto. L’emozione della vetta, di camminare in cresta. Di essere tutti legati gli uni agli altri, di dover tenere ben presente la tua posizione in rapporto a quello davanti a te e a quello dietro, per non rischiare di far cadere tutti. Una bellissima metafora di quello che stiamo facendo, di quello che significa essere una squadra”.