Ci sono momenti nella vita in cui tutto sembra allinearsi perfettamente perché si possano raggiungere i propri obiettivi. Ci sono, vero. Ma solitamente non capitano quando dovrebbero.
Di solito avviene proprio il contrario, specialmente all’alba di grandi decisioni o di fatti salienti: nubi nere si addensano all’orizzonte, fatti fuori dal nostro controllo creano condizioni che ci sembrano sfavorevoli, e d’improvviso paure ancestrali si impossessano di noi, mascherate da “segnali”.
È esattamente quello che è successo a noi, nei giorni che hanno preceduto quello che avrebbe dovuto essere il culmine del progetto M4810: il Monte Bianco.
Un finale complesso
L’idea di scalare il Monte Bianco è sempre stata altamente sfidante. Come potrebbe non esserlo? Superare i propri limiti, cambiare i propri comportamenti e le proprie convinzioni, fare qualcosa che non si è mai fatto e non si pensava nemmeno di poter fare.
Se poi ci aggiungi che il mese in cui questo progetto doveva concludersi è stato anche un dei più intensi dal punto di vista della gestione aziendale di Methodos, crei un cocktail esplosivo. Proprio in questo periodo infatti la società ha finalizzato un accordo strategico per la propria crescita continua, ed è entrata a far parte del gruppo Digital360, per realizzare l’ambizione di creare un polo di riferimento italiano per l’innovazione nel campo delle risorse umane, dei modelli organizzativi e del cambiamento culturale
E infatti, già dal Gran Paradiso la bandiera che sventolava portava con noi sulla vetta due identità: Methodos e Digital360.
È in questo clima di fermento e di stravolgimenti che ci siamo avvicinati alla grande data, alle due uscite sul Monte Rosa e sul Gran Paradiso.
E mentre nella nostra mente lavorava il tarlo della preoccupazione individuale per il gran finale di M4810, dal mondo esterno arrivavano notizie e accadimenti che mettevano in dubbio anche le fondamenta stesse della sua fattibilità.
Il crollo di parte del ghiacciaio della Marmolada, avvenuto proprio mentre noi scalavamo il Gran Paradiso, ha cambiato di colpo le carte in tavola: non tanto perché ci ha ricordato l’imprevedibile pericolosità della montagna, cosa di cui siamo da sempre ben consapevoli, ma perché ha costretto il mondo intero a guardarla in faccia.
D’improvviso la situazione dei ghiacciai era sulla bocca di tutti, il caldo fuori stagione, i danni, le problematiche. Sarebbe ipocrita (e imprudente) dire che non abbiamo dovuto farci delle domande.
E così, a pochi giorni dalla data stabilita per la scalata, M4810 si è rivelata più che mai una palestra di Change Management efficace.
Tutto ciò di cui abbiamo parlato in questi anni, le valutazioni che abbiamo fatto sull’apprendimento portato da questo progetto, le considerazioni sui suoi punti cruciali, sono venute al dunque proprio in occasione di questa decisione così delicata.
Ci trovavamo a un bivio. Uno che ci dimostra per l’ennesima volta che cambiamento significa anche prendere decisioni scomode, e in ambito di incertezza.
Rinunciare o proseguire?
Per un attimo, tutte le ipotesi sono state sul piatto. Da valutare con il supporto degli esperti della situazione, le nostre Guide Alpine di Courmayeur, ma anche individualmente, in base alle proprie ambizioni, priorità e obiettivi.
Entrambe le decisioni avrebbero avuto una bella motivazione; decidere di cambiare il nostro programma sarebbe stato un segnale forte, anche mediaticamente parlando. Inoltre, sarebbe stata una decisione conservativa, sicura, comoda.
Ma decidere di continuare significava essere fedeli a quello che abbiamo scritto nel primo articolo di quest’anno, quando abbiamo deciso di riprendere da dove avevamo lasciato: “non aspetteremo che il 2022 sia altro da ciò che è”, perché il momento perfetto in cui tutto sembra allinearsi perfettamente…be’, non esiste quasi mai. E così abbiamo deciso di proseguire, con la volontà e l’impegno però di trasformare questo progetto, da questo momento e in futuro, in qualcosa di più, qualcosa che possa davvero contribuire alla preservazione degli ambienti che abbiamo imparato poco a poco a conoscere.
L’ultima salita
Penso a tutto questo mentre cammino a quattromila metri, in una notte limpida illuminata da una splendida e inaspettata luna piena. Le montagne bianche intorno a me brillano di luce propria, ma non posso guardarle: devo concentrarmi sulla traccia.
Il passo lento e costante che abbiamo imparato ad apprezzare con il Monte Rosa (kalipè!) e il rumore della neve che scricchiola sotto i ramponi, mi cullano in una sorta di trance, pura meditazione in movimento.
Ripercorro la settimana appena trascorsa.
Il silenzio carico di significati dei primi giorni, che sapevo essere pieno di decisioni difficili per ciascuno dei partecipanti a M4810.
I miei sentimenti altalenanti, mentre passavo dalla segreta speranza di un annullamento per dare un alibi alle mie paure, al desiderio bruciante di finire questa splendida avventura ad alta quota così come l’avevamo immaginata.
Paura perché sapevamo tutti che il Monte Bianco sarebbe stato molto più impegnativo di Monte Rosa e Gran Paradiso.
E poi quel messaggio: “si fa, partiamo lunedì all’alba per Les Houches per percorrere la Via Normale Francese per il Monte Bianco”.
E qualcosa di caldo che si muove dentro, la sensazione che in fondo sì, fosse proprio quello che desideravo.
Ripenso a quando ci siamo trovati la sera a Courmayeur per partire verso la Francia all’alba del giorno dopo, agli abbracci densi di adrenalina e agli sguardi carichi di una determinazione che non avevo mai visto prima.
Siamo in pochi, 6 persone: io, il fotografo, Filippo, Giuseppe, Martina e David; accompagnati da ben 5 guide alpine.
Chiedo ai miei compagni cosa li abbia convinti, dato che so che più d’uno ha avuto momenti di riflessione. Ciascuno di loro ha una forte motivazione, qualcosa che li spingeva a continuare…
Non è certezza del risultato, non è assenza di paura: “è desiderio per il completamento di un percorso, ma anche di aggiungere un pezzo in più per osservare il cambiamento attorno e dentro di noi”, mi risponde David (lasciandomi a bocca aperta a chiedermi se si fosse preparato la risposta!).
So che tutte le persone che non ci sono hanno preso una decisione difficile e sofferta. Si sono guardate dentro e hanno affrontato un percorso di analisi della propria motivazione e preparazione, delle condizioni personali e attitudinali. Un mix difficile da spiegare, ancor più difficile da valutare.
Come ha scritto Alessio, “la scelta di non fare l’ultima tappa è dura, ma giusta: sono consapevole che quello che poteva darmi questa esperienza me l’ha già dato, i valori che mi hanno portato ad abbracciarla sono gli stessi che mi suggeriscono di non andare. Tiferò e sosterrò i miei compagni di viaggio in quest’ultima tappa, a distanza”.
La cosa che ci accomuna tutti, chi c’è e chi non c’è, è che non abbiamo certezza del risultato di domani, ma del percorso fatto finora sì: le tappe precedenti sono state un successo, i semi sono stati buoni, il cambiamento è già germogliato. È ora di vedere quanto in alto ci porta, consapevoli che ognuno il proprio Monte Bianco l’ha già raggiunto. Specialmente Methodos, come società che si era posta obiettivi tanto ambiziosi da sembrare impossibili.
Continuo a camminare. Il cielo a est comincia a tingersi di rosa, ma la luna è tramontata e il freddo è più penetrante che mai.
Le gambe sono intorpidite e doloranti, le punta delle dita gelate sia nelle mani che nei piedi, l’aria ghiacciata entra in gola dolorosa…e ancora la vetta è così lontana, impossibilmente lontana.
Sollevo-appoggio-pausa, sollevo-appoggio-pausa, sollevo-appoggio-pausa…
Ripenso al giorno prima, mentre iniziavamo la salita verso il rifugio Goûter e ci arrampicavamo come stambecchi su una pietraia di sassi instabili e strapiombanti. La fatica era estrema, sia fisica che mentale, perché ogni passo era la differenza tra il successivo e una rovinosa caduta.
Nelle uscite precedenti qualcuno aveva chiesto alle nostre guide “cosa succede se cadiamo, nei tratti più complessi?”. E Arnaud aveva risposto sorridendo: “Non cadi”.
Una frase che avevo trovato fastidiosamente inadeguata in quel momento, ma che mentre mi reggo con una mano a uno sperone di roccia e con la punta del piede mi appoggio a un altro, capisco perfettamente: non cadi.
Quando tutto dipende da quella presa, quando la tua intera mente e il corpo sono concentrati su un obiettivo, e le tue percezioni sono espanse al massimo, non cadi. Cadere semplicemente non è un’opzione.
Continuo a camminare, entrando e uscendo da questa trance in cui perdo la cognizione del tempo e dello spazio, poi qualcosa di strano mi colpisce. C’è qualcosa di diverso, qualcosa che è cambiato negli ultimi minuti, in modo così graduale da essere quasi impercettibile, ma ora me ne rendo conto chiaramente: la neve sta diventando rosa.
Alzo lo sguardo, e mi blocco.
Ferma in mezzo alla neve, la corda che mi lega alla guida si tende con uno strappo, ed Edy si volta a osservarmi preoccupato: “che succede?”.
“È straordinario”, mormoro guardando a sinistra, oltre la sua spalla.
Si volta a vedere e capisce cosa mi ha fermata: il cielo si è tinto di un rosso incredibile.
File di montagne di tutte le sfumature del blu si dissolvono nel rosso, in quella che è senza ombra di dubbio l’alba più incredibile che abbia mai visto.
Edy sorride e mi fa cenno di continuare: “aspetta di vederla da lassù”.
Fine prima parte