Per una volta, il ritrovo con il gruppo non è all’alba. È una calda domenica pomeriggio di luglio, molti tornano dal mare o da qualche località di villeggiatura, e rimettere i piedi sull’asfalto bollente di Milano con mezza giornata di anticipo non è piacevole per nessuno. Per fortuna ci stiamo poco: siamo diretti parecchio in alto, in Val d’Aosta.
È una tappa molto importante per vari motivi. In primis perché è la prima di due giorni, e c’è un’eccitazione quasi “scolastica” nell’aria, mentre si fa l’appello sull’autobus in stile gita di classe.
Poi perché è il primo 3.000 che il gruppo toccherà, la prima vetta, la prima via ferrata, insomma la prima vera alta montagna per molti. Sono tutti bellissimi, nelle loro giacche Salewa brandizzate, azzurre per le donne e gialle per gli uomini, vestiti come degli alpinisti professionisti.
Ci sono alcune facce nuove tra il pubblico, giovani e sorridenti più che mai: sono gli stagisti. Inizialmente non erano stati coinvolti nel progetto anche per questioni normative, ma escludere qualche membro dell’organizzazione per qualunque motivo sembrava cozzare con i principi di inclusione e di collaborazione alla base di questa avventura. E così eccoli qui, probabilmente i più eccitati di tutti. Quante aziende farebbero lo stesso? Be’, forse è una domanda assurda in generale, vista la particolarità di tutto il progetto!
Altri visi nuovi sono rappresentati dai “significant others”, che oggi per la prima volta si uniscono a noi: un altro bellissimo elemento di coesione, di rispetto dei singoli, di affiatamento, che questo progetto dimostra di avere. E così, più numerosi e più affiatati che mai, partiamo alla volta della Val d'Aosta!
Domani ci aspettano grandi cose, come detto, ma per ora la nostra meta è meno impegnativa: iniziamo a salire da Vetan verso il rifugio Fallère, 2.385 metri sul livello del mare, 600 metri di dislivello. La guida alpina che ci accompagna ci sprona: una passeggiata facile facile, quasi sempre in piano e con qualche salita. Ok, sembra promettente.
Il paesaggio è più bello che mai, sembra di stare in una pubblicità della Milka mentre attraversiamo verdi prati, ruscelli e sentieri. I proprietari di queste zone non sembrano troppo contenti di vederci nel loro territorio, però: le mucche ci guardano circospette mentre passiamo in mezzo a loro, non si muovono di un centimetro e scuotono le loro grosse corna, nemmeno i vegetariani si sentono al sicuro. Ma, forse convinte dall’autorevolezza che emana l’attrezzatura Salewa, ci lasciano passare indenni. Testiamo anche subito l’impermeabilità dei loro prodotti, visto che uno scroscio d’acqua ci dà il benvenuto alla partenza. Test superato con estremo successo, aggiungerei.
Dopo pochi chilometri, iniziano gli avvistamenti: “guarda, guarda! Un tasso! Una marmotta! Un capriolo!”.
Uno dopo l’altro, stupendi animali intagliati nel legno con tale precisione da sembrare veri fanno capolino nel sentiero. La cosa più bella è come sono posizionati: il loro creatore, Siro, l’estroso Geppetto di montagna proprietario del rifugio in cui dormiremo, ha una fantasia incredibile nel posizionarli in luoghi vagamente nascosti ma visibili, esattamente dove li troveresti se fossero di carne e pelliccia.
E così, tra un avvistamento e l’altro, non ci accorgiamo nemmeno che la strada inizia a salire. Finché non diventa quasi verticale, e nemmeno gli animali di legno servono più a distrarci! “Prevalentemente piano con qualche salita", eh?
Per fortuna il panorama a 360° sulla Valle e sulle montagne ci ripaga quando alziamo gli occhi. La guida ci indica anche una cima aspra e appuntita, la più alta del circondario: “domani arriveremo lassù, sulla vetta del Monte Fallère!”, annuncia. Un po’ di panico serpeggia nel gruppo, sembra lontanissimo e incredibilmente verticale, ma siamo troppo impegnati a mettere un piede davanti all’altro per concedergli troppa importanza. Per ora ci traina solo il pensiero della cena in rifugio che ci aspetta!
“Siamo quasi arrivati! Ancora solo 20 minuti", cerca di rassicurarci la guida durante una delle pause, lungo questa salita che non perdona. “20 minuti? Caro, dobbiamo allinearci su cosa significhi quasi arrivati”, risponde ironico qualcuno, e risate ansimanti percorrono il gruppo.
Però è vero: manca ancora un bel po’ di sforzo, alleviato dalle sempre più numerose figure in legno che ci accompagnano, inclusi un finto portafoglio caduto in mezzo a un guado e una donnina che si solleva la gonna per fare la pipì (con un rigagnolo d’acqua dal torrente che la rende ancora più realistica).
Facile farsi un’idea della bellezza del rifugio, se solo il sentiero per arrivarci è così curato! Ci troviamo in un bellissimo hotel in mezzo alle montagne dotato di ogni comfort, dove ci viene servita un’ottima cena innaffiata di vino e dell’amaro locale, il Genepy.
Felici e rilassati, un po’ preoccupati per i compagni di camerata che russano o parlano nel sonno, ci avviamo ai letti: è il momento di provare l’ebbrezza di dormire a più di 2.000 metri! Domani si torna alle vecchie abitudini: sveglia all’alba e in marcia, il Monte Fallère ci attende!