
Guardare le foto della prima uscita M4810, oggi, strappa un sorriso. Sembra un’immagine sfocata, appartenente a un’altra epoca, di un altro gruppo. Non c’era l’attrezzatura Salewa, i colori coordinati, il brand della spedizione. Ciascuno aveva indossato i propri migliori abiti sportivi, ma sembravano più pronti ad andare a fare una corsa al parco. Tutti sorridenti, tutti desiderosi di dare il meglio di sé, ma senza la consapevolezza che abbiamo oggi quando ci apprestiamo a un’ascesa.
Quella prima uscita era stato un calvario per molti. Vesciche e graffi erano la normalità, più facile contare piedi e gambe su cui non ce ne fossero che il contrario. Ma per qualcuno il pegno da pagare era stato un po’ più alto.
Ad un certo punto, nel verde dell’erba, si intravede un gruppetto di persone concitate. Non riesco a capire, qualcuno sembra seduto, un altro in ginocchio, altri in piedi. Ma che succede? Quando mi avvicino capisco: il medico che è venuto con noi per supportarci è in ginocchio davanti a Diletta, una delle consulenti di Methodos, e le sta tastando la gamba. Dall’espressione sofferente di lei, non sembra essere piacevole.
“Un bello strappo, temo”, sentenzia alla fine. E a Diletta non resta altro da fare che iniziare a scendere lentamente, appoggiandosi a un compagno.
Non conoscevo ancora Diletta, allora, ma qualcosa nel suo sguardo mentre iniziava a scendere mi ha detto che non era solo la gamba a farle male, ma anche l’orgoglio. Sono cose che capitano, purtroppo, e non è niente di grave. Piccoli inconvenienti che si devono mettere in conto quando si fanno questo tipo di attività. Ma dover rinunciare a raggiungere il proprio obiettivo, specialmente in un gruppo unito e coeso come Methodos, può essere più doloroso che uno strappo.
Non passerà molto prima che ci sia un’altra occasione di mettersi alla prova, però. E alla seconda uscita, infatti, Diletta non si è fatta trovare impreparata. Ha affrontato con successo tutto il dislivello del Monte Disgrazia, recuperando egregiamente rispetto alla prima esperienza e dimostrando tutta a sua tenacia, nonostante qualche occasionale lamento, dovuto alla gamba che ancora la preoccupava.
Paradossalmente, l’occasione per conoscerla veramente bene è arrivata qualche tempo dopo, in un trekking che nessuna delle due avrebbe però portato a termine. Ma questa volta, per scelta. Ero con lei e Angelo quando al Passo del Sempione abbiamo deciso di non lasciare indietro Lilli, di goderci il viaggio come gruppo invece che la meta come singoli. Era la prima volta che parlavamo tanto a lungo, e ho capito subito che nella sua mente viveva la stessa lotta che c’era nella mia. La voglia di portare a termine una sfida, di raggiungere il proprio obiettivo personale, deve scendere a compromessi con i diversi passi del gruppo, il desiderio di inclusione, di far parte di questa splendida avventura tutti insieme.
Mentre continuiamo a salire, ormai lentamente e senza fretta, spinti solo dalla voglia di godere del panorama e non dal desiderio della vetta, improvvisamente si mette a ridere.
“Se penso al giorno in cui Filippo ha parlato per la prima volta di questa folle idea...e io che credevo scherzasse! Eravamo a Denver, impegnati in un progetto con un cliente lì che comprendeva anche delle uscite in montagna. Mentre camminavamo in silenzio, circondati solo da neve e monti, Filippo a un certo punto si è fermato. Ci ha guardato con un sorriso e ha detto soltanto: “Dovremmo provare a scalare il Monte Bianco”. Il collega che era con me ed io ci siamo fissati l’un l’altro, sorpresi, e poi ci siamo fatti una bella risata. Ne abbiamo parlato brevemente, ma l’avevamo interpretata come una battuta, un’idea di quelle visionarie e lontane, che non prendono mai realmente forma.
Non avremmo mai pensato, allora, cosa sarebbe arrivato. Pochi mesi dopo, nell’ottobre 2017, durante la nostra convention in Sardegna, quell’idea buttata lì tra un passo e l’altro si è trasformata in un progetto. Aveva un nome, aveva una motivazione, una “change vision”. Era reale. Ricordo di essere rimasta a bocca aperta, un po’ come tutti. Era straordinario, quante società possono arrivare anche solo a pensare una cosa del genere?
E oggi siamo qui...mi sembra incredibile. Ne sono entusiasta!
Anche se non credo riuscirò ad arrivare fino in fondo, purtroppo”.
Quella frase rimane a mezz’aria, mi incuriosisce. Perché no? È alta, snella, in forma. Mi ha raccontato di essere appassionata di montagna, anche se di altre latitudini, quelle campane della sua terra d’origine. Se c’è una persona che potrebbe arrivare lassù, mi sembra lei. Diletta abbozza, non mi dà una risposta definitiva. Un po’ ha problemi di pressione alta, un po’ il lavoro, un po’ non sa se ce la farà fisicamente. Non insisto, in fondo sono temi personali, e torniamo a parlare d’altro. A goderci il momento presente, la bellezza di questo progetto, senza pensare a come o quando finirà.
Ci ritroviamo qualche mese dopo. Questa volta non ci sono montagne intorno a noi, ma a fare da sfondo alla nostra conversazione negli uffici di Methodos c’è un albero di Natale, addobbato con palline contenenti le foto delle uscite M4810.
“Sai, ho pensato a quello che ci siamo dette quel giorno”, mi dice mentre addento una fetta di panettone. “Dopo quell’uscita, sono cambiate tante cose. È stata davvero uno spartiacque. Abbiamo dovuto confrontarci con ciò che stavamo facendo, ma soprattutto con ciò che non riuscivamo a fare. Con le difficoltà di tenere insieme passi e velocità diverse, di non lasciare indietro nessuno e allo stesso tempo di non perdere di vista il raggiungimento dell’obiettivo. Mi sono resa conto che avevo paura. Non so di cosa, forse di farmi male di nuovo, forse di non riuscire a raggiungere la meta che ci siamo prefissati, di rimanere indietro. Era quasi meglio non provarci con tutta me stessa, prenderlo come un gioco che però non dipendeva da me, una bella avventura che ad un certo punto sarebbe finita per cause di forza maggiore. In realtà, avevi ragione: non c’è motivo per cui non possa farcela. L’unico motivo, sono io!
I test che abbiamo sostenuto me l’hanno dimostrato: tutto in regola. Dalla spirometria al test sotto sforzo, persino l’età metabolica rispecchia perfettamente la mia età anagrafica. Era scritto lì, nero su bianco nel foglio che mi ha restituito GetFit: ce la posso fare.
Non c’è nessun motivo esterno a impedirmelo. E ora mi sento totalmente diversa. Ora, voglio farcela con tutta me stessa! Questo non vuol dire che ci riuscirò, certo, non è detto che per un motivo o per l’altro alla fine io non sia costretta a rinunciare. Ma ora so che, se succederà, sarò io ad averlo deciso. E non vedo l’ora di spingere quel momento il più in là possibile”.